Stanch3 di questo silenzio: l’università non è un luogo sicuro e questa è la storia di molt3

 

Queste sono le parole di denuncia di alcune studentesse, ma è la storia di molt3 e non vogliamo più che sia quella di altr3 ancora.
Vogliamo molestie e violenze fuori dalle nostre Università, dalle nostre città e dalle nostre vite.


“Tuttə noi siamo abituatə a guardarci le spalle quando camminiamo per strada, sappiamo che potremmo vivere la violenza nelle nostre case, nelle nostre relazioni.
Abbiamo creduto che in università saremmo state in un luogo sicuro, in cui non dover essere sulla difensiva, ma così non è stato. Alla valorizzazione e all’idealizzazione dei nostri studi e dei nostri insegnanti troppo spesso si contrappone il silenzio riguardo agli squilibri di potere e agli episodi di molestie e di violenza.

Prima di mettere insieme le nostre voci alla MALAconsilia, Consultoria autogestista, abbiamo avuto il timore di essere sminuite e non ascoltate. Siamo però troppo stanche di questo silenzio, vogliamo che chiunque attraversi gli spazi dell’università si svegli e inizi a riconoscere i comportamenti che vi racconteremo come inaccettabili. Siamo tre studentesse che parlando tra i corridoi dell’università hanno capito di condividere la stessa esperienza e lo stesso senso di ingiustizia, ma sappiamo che questo nostro racconto è la storia di molte e non vogliamo più che sia quella di altre ancora.

MENO TRE. Ancora così caldo da stare con una maglietta sbracciata. Fuori dall’aula a parlare con i compagni in attesa del professore. Lo vedo scendere le scale e dirigersi verso di noi. Si avvicina, mi squadra dall’alto in basso e mi sussurra: “fa caldo eh”, mentre con le dita mi accarezza il braccio, sento il suo tocco sulla pelle nuda. Non ho nemmeno il tempo per metabolizzare che il professore entra in classe e noi dietro di lui. Penso che non voglio mai più attirare la sua attenzione, la prevaricazione fisica e istituzionale che sto vivendo mi costringe a perseguire un unico obiettivo: rendermi invisibile. Mentre spiega mi guarda, il suo sguardo è insistente e io non ascolto, non mi concentro, non faccio domande, non devo mettermi in mostra. Al termine dell’esercitazione me ne vado a testa bassa e senza salutare, attenta a non incrociare il suo sguardo. Avevo sentito parlare dei comportamenti inappropriati di questo docente, eppure non sono pronta ad assistere e a vivere quanto sta accadendo. A subire molestie non si è mai pronte. “Quanti dei racconti che ho sentito sono veri? Fino a che punto si può spingere un professore?”, mi chiedo.

MENO DUE. Metto via fogli e penne a fine lezione mentre parlo con una mia compagna. Il professore passa, si ferma davanti a noi e ci chiede: “Allora, cosa volete fare da grandi eh?”. Nessuna di noi risponde. Lui inizia a raccontare di come questo ambiente gli ricordi i suoi anni da studente e poi inizia a descriverci fin troppi elementi della sua vita privata e sentimentale, chiaramente per cercare di entrare più in confidenza con noi. Vorrei scappare. La mia compagna intanto mi guarda stranita, conscia anche lei del comportamento così anomalo e invadente del professore. Gli altri studenti iniziano a rientrare in aula per la lezione successiva e riusciamo a dileguarci. Il sollievo che provo dura poco. So bene che ho buone probabilità che sarà lui a interrogarmi all’esame. E da quello non si può scappare.

MENO UNO. Sede d’esame. E’ proprio lui a presiedere. Mi saluta e afferma di ricordarsi di me dalle esercitazioni. Rimango di sasso. Ci metto un po’ per concentrarmi di nuovo sulla materia d’esame. Quando spiego non bene un concetto che per lui è importante, lui mi ferma bruscamente e dice: “Senta, non è che lei stia andando molto bene, sicuramente meglio della sua collega, però…” Io presa dall’ansia rispondo che posso continuare ad andare avanti. A quel punto lui continua: “Sa, se proprio vuole far alzare il suo voto ci sarebbe un modo… può offrirmi un aperitivo!” mi guarda allusivo e poi ride. Io rimango scioccata, mi trovo in una posizione subalterna rispetto a lui. Non riesco a dare nessuna risposta, né a difendermi. L’unica cosa che riesco a fare meccanicamente è ridere e cercare di andare avanti continuando a parlare dell’argomento di esame, allontanarmi più che posso da quella allusione e da quel commento inopportuno che mi hanno fatta sentire così fragile e inadeguata. Andando avanti il professore non mi ascolta nemmeno più, tira fuori il telefono, mi dice di parlare, ma nel frattempo manda mail e messaggi.

SVEGLIA. Di nuovo il momento di sostenere l’esame, mi concentro molto per essere calma. Entro nell’aula dell’esame, mi accorgo che da diversi minuti la discussione tra il professore e la collega interrogata è guidata da domande personali su di lei, sul suo futuro, sui suoi interessi. Cerco di concentrarmi su altro finché la figura del professore non compare nel mio campo visivo. Mi chiama per nome, mi alzo pensando fosse arrivato il mio turno di sostenere l’esame e mi incammino per raggiungerlo. Mi dice di stare tranquilla perché non avrei svolto la prova. Sistema una sedia e uno sgabello vicini, lui siede davanti al computer e mi chiede di aiutarlo a inserire i voti degli altri studenti nella piattaforma online. È successo tutto molto rapidamente, ho semplicemente eseguito ciò che mi diceva il professore, non mi sentivo nella posizione di poter dire di no. Mentre mi siedo, lui mi sussurra all’orecchio che ha un piacevole ricordo di me alle lezioni. Ha un fare languido mentre appoggia sulle mie cosce il quaderno contenente tutti i voti dellə studentə precedenti. Mi incalza, poi, dicendo che non ci sarebbe stato nulla di male se, dopo l’esame e indipendentemente dal suo esito, fossimo andati a prendere un aperitivo insieme. Arriva un altro esaminatore, si scusa per averci disturbato e mentre scrive un nuovo voto sul registro si rivolge a me avvisandomi che se voglio posso fare l’esame con lui. Non me lo faccio ripetere. Il professore riesce ancora a dirmi “Vai pure eh, se vuoi…” e ad accarezzarmi la mano mentre mi sfila il quaderno dalle mani. Mi sento molto confusa e molto a disagio, ho un groppo in gola. Non riesco a concentrarmi sull’interrogazione e penso in loop riguardo all’accaduto: “Ho davvero sentito quello che mi ha appena detto? Sta scherzando o sta facendo sul serio? Me la sono cercata accettando di venire a registrare i voti con lui? Avrò fatto qualcosa? Le altre persone nella stanza cosa penseranno dopo aver assistito a tutta la scena?”

Provo rabbia perché l’esito del mio esame non rispecchia l’impegno e il tempo che ho messo per lo studio della materia.
Sono infastidita perché la mia incertezza deriva da un evento imprevisto e totalmente inadeguato per il contesto.
Sono disgustata anche a diverse ore di distanza.
Questa esperienza mi riporta alla mente altre violenze vissute e mi lascia in un turbine di emozioni difficilmente gestibili.
Provo vergogna, penso che avrei dovuto gestire meglio la situazione, senza farmi sommergere dai sentimenti e dalle ingiustizie.
Sono sconfortata perché il sistema performante in cui vivo mi ha spinta a sconvolgermi prima di tutto per il voto di un esame e solo successivamente per le molestie subite da un professore.

Sono arrabbiata perché so che a molte studentesse è andata peggio e ad altre è successo lo stesso.”


link alla lettera originariamente pubblicata su instagram: http://www.instagram.com/p/C0BZUPDoPWv