Condividiamo la lettera di denuncia politica di Micaela, Lucia e Sara perché vogliamo molestie e violenze fuori dalla nostre Università, dalla nostra città e dalle nostre vite! [1]
“Ho subito violenza dal mio professore universitario qui a Bologna. Cosa vuol dire essere molestate sessualmente all’interno dell’Università?
Cosa vuol dire quando a farlo è un “rispettabilissimo” professore, direttore di dipartimento che, in pensione, decide di rimanere a insegnare per non allontanarsi troppo dalle sue prede?
Una ultrasessantenne che per mestiere si occupa di fragilità, un “padre di famiglia” che, mentre ti dice di ricordargli sua figlia, non si ferma dal farti avances sessuali.
Un uomo che per anni e anni ha continuato a molestare le sue studentesse nel silenzio generale e l’omertà di colleghi e dipartimento.
Un docente i cui libri ancora vengono ancora adottati come testi all’interno dell’Università.
Un professore noto per il suo linguaggio “colorato” e per distinguere le donne in “frigide” o “puttane”.
Cosa si prova quando un docente ti racconta le sue debolezze per far leva sui tuoi sensi di colpa, e ti chiede di confidargli le tue fragilità, con finto interesse, solo per poterle usare contro di te?
Si dichiarò disponibile a farmi da relatore per la tesi, si disse colpito dal mio impegno e dalla mia empatia, mi propose di nominarmi la sua “assistente” e, quando quel giorno mi molestò, diventò il mostro che mi porto ancora dietro nelle notti.
Essere costretta a stare seduta su di lui e a tenergli la mano, a subire umiliazioni devastanti e lavaggi psicologici, ad ascoltare le sue fantasie sessuali e di come voleva gli venisse praticato un rapporto orale, e ancora, toccamenti, insulti e schiaffi: sono solo alcune delle cose successe in quelle 6 ore che mi annullarono completamente, e quando chiesi chiarimenti lui mi rispose “qui dentro funziona così, come cazzo pensi che vada avanti questo posto?”
Quando uscii da quell’ufficio ero sconvolta: avevo esagerato io? Era colpa mia? Magari avevo solo interpretato male, era successo davvero?
Ero confusa, ma certa di una cosa: zitta non ci potevo stare. Parlai, non potevo essere l’unica. Fu così che, tramite conoscenze comuni, trovai altre ragazze del mio corso che avevano
vissuto la mia stessa esperienza.
Anche con Lucia lui aveva chiuso la porta a chiave, l’aveva fatta sentire speciale, “una fuoriclasse”, una “bella figa”, aveva fatto apprezzamenti e proposto progetti insieme, ma anche lei se li sarebbe dovuti guadagnare… anche lei, di fronte alla stessa confusione, fu manipolata a credere che avrebbe dovuto saperlo: sarebbe potuta finire solo in questo modo.
Per tanto tempo Lucia non ne parlò con nessuno e si sentì sempre colpevole, ma non eravamo solo noi due a credere di essere stupide e sbagliate, c’era anche Sara: stesso identico copione.
Anche con lei andava in bagno lasciando la porta aperta, si sfogava delle conseguenze dovute all’operazione subita e della sua vita privata, la obbligava a sedersi su di lui e faceva leva su senso di colpa e paura, ricordando sempre quanto potere avesse e come facilmente avrebbe potuto distruggerla. Le aveva fatto credere che fosse lei ad aver bisogno di lui, minandone l’autostima con costanti insulti e proponendosi come unica possibilità di salvezza, non solo in ambito universitario ma anche nella vita quotidiana.
Dopo esserci incontrate, capimmo che era successo davvero, e non eravamo noi ad aver frainteso, ad aver esagerato o ad essercela cercata.
Allora abbiamo trovato la forza e ci siamo convinte che bisognava assolutamente fare qualcosa, per noi e per evitare che succedesse ad altre. Con la MALAconsilia, la Consultoria Studentesca autogestita, abbiamo trovato storie di violenze identiche alle nostre con lo stesso docente, risalenti addirittura a tantissimi anni prima. E quello che creammo fu un gruppo di donne incazzate, così potente che per noi ha fatto la storia.
Tutte insieme abbiamo denunciato le violenze di questo professore.
Abbiamo affrontato un sistema universitario complice e omertoso che ha taciuto per anni e che non ci ha protette, avvocate che ci hanno voltato le spalle, colleghi di università e testate investigativo-giornalistiche che ritenevano più forte e importante il senso di curiosità verso lo scandalo e il “gossip” che la vicinanza di cui avevamo bisogno. Abbiamo lottato contro colpevolizzazioni, etichette e giudizi esterni: “perchè non te ne sei andata?” “perchè sei tornata?” “come hai fatto a non accorgertene?” “perchè non hai parlato subito?” “se fossi stata in te…” Intere giornate passate a ricordare ogni minimo dettaglio, elaborare il dolore, pianificare, raccontare. Ma non abbiamo mollato, perché avevamo tanto da gridare, e non eravamo sole, eravamo insieme. Tuttora la ripresa, il ritrovare la fiducia e l’amore in se stesse richiedono ancora molto tempo.
Ma oggi siamo qui per dire che è possibile uscirne.
Perché insieme, con la MALAconsilia, abbiamo costruito gli strumenti e la forza, e anche quando non li avevamo, sentirsi accolte, ascoltate e credute è stato rivoluzionario. Noi abbiamo trovato sorellanza e lotta. Lui, una condanna penale. Ma non è abbastanza, perchè quello che vogliamo condannare è un intero sistema che continua a ignorare, coprire e normalizzare la violenza.
A chi ha subito le nostre stesse violenze: a voi a cui è stato insegnato a stare zitte, sopportare e normalizzare, a voi a cui è stato insegnato che sono i vostri comportamenti a
innescare molestie e violenze, a voi che vi siete ritrovate etichettate, giudicate e isolate, sappiate che non siete le sole, ma soprattutto, non siete da sole. E se non staremo zitte, loro non avranno scampo.”
“Se domani sono io, se non torno domani, brucia tutto. Se domani tocca a me, voglio essere l’ultima.”
[1] Micaela, Lucia e Sara sono nomi di fantasia, non solo per tutelare la loro privacy e safety, ma anche perché storie come questa le abbiamo vissute tutt3 e tutt3 insieme ci vogliamo ribellare alla violenza.
link alla lettera originariamente pubblicata su instagram: http://www.instagram.com/p/ClN620PsyFO